Requisiti di accesso al Fondo di Garanzia, interviene la Cassazione
Con sentenza n. 1886/2020, la Cassazione ha chiarito i requisiti per fare richiesta al Fondo di Garanzia dell’INPS per il pagamento del TFR in caso di insolvenza del datore di lavoro.
In pratica, il lavoratore non può fare richiesta al Fondo di Garanzia per il pagamento del TFR se prima non si è insinuato al passivo fallimentare del datore di lavoro.
Oppure, se il fallimento è chiuso prima dell’insinuazione o non si apre affatto, il lavoratore deve dimostrare di aver fatto un tentativo di esecuzione forzata sul patrimonio del datore di lavoro.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Palermo ha rigettato la domanda di Tizio volta ad ottenere dal Fondo di garanzia dell’INPS il pagamento del TFR maturato alle dipendenze della società Alfa s.r.l. fallita.
La Corte, infatti, ha ritenuto che, nell’ipotesi di chiusura del fallimento per insufficienza dell’attivo senza previa formazione dello stato passivo, era onere del lavoratore che chiedesse l’intervento del Fondo di garanzia di procurarsi un titolo esecutivo nei confronti del datore di lavoro e di esperire preventivamente un qualche tentativo di esecuzione forzata.
E siccome Tizio non si era attivato in tal senso, nessuna pretesa poteva vantare nei confronti dell’INPS.
Tizio ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza di primo grado.
LA DECISIONE DELLA CASSAZIONE
La Corte ha affermato che, in caso di insolvenza del datore di lavoro, il lavoratore assicurato che pretenda il pagamento del TFR da parte del Fondo di garanzia dell’INPS deve dimostrare:
- la dichiarazione di fallimento del datore di lavoro;
- che il suo credito è stato ammesso nello stato passivo;
- qualora l’ammissione nello stato passivo sia stata resa impossibile dalla chiusura della procedura per insufficienza dell’attivo, di aver tentato l’esecuzione forzata nei confronti del datore di lavoro.
Tali principi sono stati ribaditi anche nell’ipotesi in cui l’esame della domanda (tardiva) di insinuazione sia stata impedita dalla previa chiusura del fallimento per insufficienza di attivo.
Il legislatore, infatti, con l’art. 2 della legge n. 297 del 1982, ha ancorato l’intervento del Fondo alla ricorrenza di due distinte ed alternative ipotesi:
- da un lato, la verifica del credito del lavoratore mediante l’insinuazione al passivo del fallimento del datore di lavoro;
- dall’altro lato, qualora il datore di lavoro non sia soggetto alle disposizioni della legge fallimentare, il tentativo di esecuzione forzata sui beni del datore di lavoro, da cui risulti l’insufficienza, totale o parziale, del patrimonio dello stesso.
La Corte ha rilevato che, comportando la chiusura del fallimento il ritorno del datore di lavoro in bonis, ben poteva il lavoratore procurarsi un titolo esecutivo nei suoi confronti e promuovere azione esecutiva nei confronti della società o dei soci.
Infatti, i soci rispondono dei debiti sociali nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione (così Cass. S.U. n. 6070 del 2013).
SOLUZIONE
Dunque, il previo esperimento di un’azione volta a conseguire un titolo esecutivo nei confronti del datore di lavoro insolvente, lungi dal costituire un onere inutile e inutilmente dispendioso, costituisce presupposto necessario di accesso al Fondo di Garanzia.
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