Mansioni superiori pubblico impiego: al funzionario spetta la retribuzione da dirigente

Mansioni superiori nel pubblico impiego: la decisione della Cassazione

La Cassazione, con la sentenza n. 9878/2017, ha stabilito il principio per cui, nel pubblico impiego, i funzionari chiamati a svolgere mansioni superiori hanno diritto di percepire anche la retribuzione di risultato prevista per i dirigenti.

Il fatto

Alcuni dirigenti hanno proposto ricorso al Tribunale di Roma contro l’Agenzia delle Dogane per ottenere l’accertamento dell’illegittimità della corresponsione della retribuzione di risultato ad alcuni funzionari che avevano svolto mansioni dirigenziali.

Detti ricorrenti, dirigenti di seconda fascia, avevano lamentato di avere percepito la retribuzione di risultato in misura inferiore a quella spettante perchè l’Agenzia aveva attinto dal Fondo per i dirigenti per attribuire detto trattamento anche al personale non dirigente incaricato di funzioni dirigenziali.

Il Tribunale di primo grado ha respinto i ricorsi e i ricorrenti hanno proposto appello dinanzi alla Corte di Appello di Roma.

La Corte adita, in riforma della sentenza di primo grado, ha accolto le domande.

Infatti, il Giudice di appello ha ritenuto che il trattamento economico spettante al personale temporaneamente incaricato di funzioni dirigenziali, anche se non in possesso della qualifica dirigenziale non poteva essere disciplinato dagli atti regolamentari predisposti unilateralmente dall’Amministrazione, ma solo dalla contrattazione collettiva di settore. Dunque, non essendo prevista dal CCNL tale ipotesi, l’attribuzione ai funzionari della retribuzione di risultato doveva considerarsi illegittima.

Avverso tale sentenza l’Agenzia delle Dogane e i controinteressati hanno proposto ricorso per cassazione.

La decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto incontestato lo svolgimento da parte dei funzionari incaricati di funzioni dirigenziali, ai quali la retribuzione di risultato è stata attribuita.

Ha, quindi constatato che trova applicazione il principio secondo cui le disposizioni che consentono la reggenza del pubblico ufficio sprovvisto temporaneamente del dirigente titolare devono essere interpretate nel rispetto del canone di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. e dei principi generali di tutela del lavoro (artt. 35 e 36 Cost.; art. 2103 c.c., D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52).

La Cassazione, in continuità con l’indirizzo giurisprudenziale più volte espresso da questa Corte, ha chiarito che la reggenza costituisce una specificazione dei compiti di sostituzione del titolare assente o impedito, contrassegnata dalla straordinarietà e temporaneità.

Ne consegue che può essere evitato che si producano gli effetti collegati allo svolgimento di mansioni superiori, solo quando sia stato aperto il procedimento di copertura del posto vacante e nei limiti di tempo ordinariamente previsti per tale copertura.

Al di fuori di tale ipotesi, la reggenza dell’ufficio concreta svolgimento di mansioni superiori con conseguente diritto del lavoratore a percepire le differenze retributive tra cui il trattamento economico percepito e quello proprio delle superiori mansioni. E questo principio può essere applicato anche al pagamento del TFR.

Dunque, è chiaro che l‘attribuzione delle mansioni dirigenziali, con la pienezza delle relative funzioni, e con l’assunzione delle responsabilità, comporta la corresponsione dell’intero trattamento economico e, dunque sia la retribuzione di posizione che quella di risultato.

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